Bugiardino

I contenuti di questo blog rispecchiano malamente i pensieri del proprio autore. Quel che vi compare non è necessariamente il pensiero di Caritas Italiana o della Caritas di Ragusa. A cui, comunque, sono grato.

venerdì 29 maggio 2015

Il nome della rosa

Il tragico sbarco del 22 settembre 2002 io non lo ricordo. Sarà stato l’abbaglio delle motovedette ferme a 200 metri dalla riva, sul mare di Lampedusa, ad ottobre del 2013. O forse la pena di vedere in foto tredici corpi allineati sulla spiaggia di Sampieri, nello stesso posto dove una volta andai con mia moglie, un’estate in cui aspettavamo il primo figlio. Ma il tragico sbarco del 22 settembre 2002 io non lo ricordo. 
Per questo, tutte le volte in cui ci fermiamo a prendere un gelato sul lungomare di Scoglitti, prima di iniziare il nostro pomeriggio presidiante, scendo i sette gradini che portano in spiaggia per dare un’occhiata alla lapide che ne fa memoria. Che dodici persone siano morte annegate in quello identico spazio dove mi trovo io, con la sola distanza imposta dal tempo, è qualcosa che mi dà sensazioni che non riesco mai a decifrare, tanto più nell’interminabile andirivieni del mare di fronte.
Così, quando un paio di martedì fa, risalendo le scale, ho trovato Emiliano, Angelo e le nostre due giovani volontarie impegnati a chiacchierare con due tunisini, apparsi all'improvviso e seduti a pochi passi dal Berlingo, mi ha colto come una impressione di fantasmagoria. Uno dei due mangiava un panino e aveva preso da un aiuola accanto, sopravvissuta a decine di bottiglie coi baffi Moretti, una rosa che teneva accanto a sé. L’altro se ne stava muto e in silenzio sarebbe rimasto per tutto il nostro incontro. 
I ragazzi avevano dato loro la nostra brochure in arabo ed è stato naturale seguire con il mio lo sguardo dell'uomo col panino: “Presidio difende il tuo diritto alla salute, al lavoro dignitoso, all’assistenza”. 
Al termine della lettura è me che guarda e a me chiede, come offeso da un destino irrevocabile e a noi inaccessibile: “Io stanotte ho dormito fuori, il padrone dove lavoravo mi ha cacciato. Come potete aiutarmi? Potevate fare qualcosa per me ieri sera? Tu stanotte dove hai dormito? ”

L'ultima domanda ha il sapore di un rimprovero e penso sarcastico: “Molto simpatico!”, ma dico: “No, non possiamo aiutarti per questo problema”.
Ma quella frase arrabbiata e il suo sguardo che, dopo essersi abbassato a leggere, non si chinerà orgogliosamente più, hanno come messo alla porta la dimensione del fare (quella che ammorba le promesse di centinaia di politici; roba da formiche, in fondo) e ha consentito l'ingresso della dimensione dello stare.
Non c’è nulla che possiamo fare per lui, questo è chiaro, ma continuiamo a parlare in una relazione che, a questo punto, è paritaria. L'uomo col panino e la rosa ci racconta che ha fatto il pescatore in Tunisia e poi a Pozzallo, che è stato a Mazara del Vallo, che ha lavorato per molti anni nelle serre, delle promesse ricevute e non mantenute dal suo datore di lavoro, dei litigi conseguenti. Sembra abbia vissuto più di una vita. 
Poi gira la testa verso il Mediterraneo e ci dice che è innamorato "dall'altra parte del mare" e si capisce che parla di una terra o di un paese, prima ancora che di una ragazza. Scherziamo su questo, sul fatto che ci vogliono i soldi per sposarsi. Una delle nostre volontarie gli chiede se quella rosa che ha accanto sia per la persona di cui è innamorato.
“Sì” risponde lui e con un gesto ottocentesco, di cui invidio la prontezza da Clark Gable, offre la rosa alla ragazza che gli ha posto la domanda. 
Penso per un attimo che dovremmo portare la rosa ai piedi della lapide, poi mi convinco che ha fatto meglio la volontaria, che ha ringraziato lusingata quell’uomo e il suo compagno muto, quell’uomo a cui non abbiamo chiesto nemmeno il nome, come d'altronde si fa coi fantasmi. 

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