Bugiardino

I contenuti di questo blog rispecchiano malamente i pensieri del proprio autore. Quel che vi compare non è necessariamente il pensiero di Caritas Italiana o della Caritas di Ragusa. A cui, comunque, sono grato.

venerdì 19 giugno 2015

La legge della campagna

Esiste un punto impreciso, nelle campagne tra Vittoria e Scoglitti, dove per chilometri quadrati esistono solo serre e l’unico rumore che si sente quando si fa sera è un suono lugubre di vento che percuote la plastica e qualche cane che segnala, implacabile e lontana, la sua presenza.
In questo punto impreciso, raggiungibile a dorso di Berlingo e buona volontà, vive Tamara con i due suoi figli in età scolare. Nella foto sul passaporto Tamara è una ragazza piacevole, magra, con un’ombra di tristezza nel sorriso. Davanti a noi, nella casa che era stata un garage o un magazzino, Tamara è una mamma piacevole, magra, con un’ombra di tristezza nel sorriso. Ha iscritto i figli alle scuole elementari al suo arrivo, ad anno scolastico già iniziato. E dato che vive in un punto impreciso nelle campagne tra Vittoria e Scoglitti  ha scelto la scuola di Vittoria, senza sapere che la fermata dello scuolabus più vicina è quella per la scuola di Scoglitti.
L’unica soluzione possibile, poiché lei lavora già dall’alba, è che i due bambini percorrano da soli quasi tre chilometri per farsi trovare alle 7.30 alla fermata giusta. Oppure rivolgersi al servizio di trasporto abusivo che per 15 euro al giorno li accompagna a scuola. Non tutti i giorni, visto che il costo del passaggio è superiore alla metà del compenso giornaliero di Tamara. Ma alla scuola ci tiene, è importante, se non altro per consentire ai figli di incontrare ragazzi della loro età.
È questa la situazione che conosciamo quando Emiliano e Angelo rompono la monotonia di una sera di inizio primavera con la raucedine diesel del Berlingo. Portano giocattoli per i bimbi e notizie per una questione amministrativa di Tamara. Ne ricevono una inaspettata: “I bambini non vanno più a scuola. L’autista non vuole i soldi, ha detto che mi fa un favore”.
Nello sconcerto dei primi secondi si scava un tunnel un sospetto che non si fa in tempo a manifestare.
“I favori bisogna ricambiarli. È la legge della campagna.”
È il silenzio raggelato che segue una sentenza ingiusta quello che ci avvolge, una tristezza autentica da stazione. Poi il vento che insiste sulla plastica si porta via tutto e Tamara quasi consola noi e i figli: “Li iscrivo a settembre nella scuola giusta” dice tenace come la luna che sta spuntando e che domani, infatti, crescerà fino a diventare piena.

E mentre lasciamo i giocattoli e le notizie e mentre il caffè bollente preparato da Tamara eccita mucose e ricettori e nervi, ma non riscalda ci ripetiamo tornando in macchina: “la legge della campagna” e non sappiamo dire altro mentre in noi, in un punto impreciso tra lo stomaco e il cuore, qualcosa si è spezzato e fa male.

mercoledì 10 giugno 2015

La buona scuola

Abbassi, Buduru, El Barbir, Nacir, Taouil….
Non c’è alcun appello il giovedì pomeriggio a Marina di Acate, ma se l’insegnante lo chiamasse, suonerebbe più o meno così. Da circa quattro mesi, una volta a settimana, il Presidio mette a disposizione i proprio locali per una attività di alfabetizzazione alla lingua italiana proposta da una cooperativa locale. Ogni giovedì Veronica, che insegna italiano e parla arabo, aspetta i suoi 20 alunni maghrebini che tornano dalle serre e si siedono sulle sedie in plastica dura, intorno a due tavoli rotondi, per imparare la formazione del plurale, la coniugazione dei verbi, il manuale di conversazione per il bar o  per gli uffici comunali.
Sono lezioni che non mettono in palio la diaria di un corso di formazione, né i punti sul permesso di soggiorno e nemmeno un titolo di studio. I 20 alunni vengono perché vogliono imparare meglio la lingua italiana, tutt’al più per avere un diversivo nel mezzo della settimana lavorativa. Arrivano dopo il lavoro e dopo la doccia, vestiti come per un colloquio di lavoro, si portano la mano all’altezza del petto dopo avere stretto la tua, prendono dall’ultimo cassetto i quadernoni e infine si siedono, in un silenzio disciplinato, ad ascoltare l’insegnante per un paio d’ore. Trascorse le quali si attardano in capannelli per scambiare due chiacchiere, chiedere se si possono avere notizie per i permessi di soggiorno già in scadenza e non ancora consegnati, per dirci che quest’anno per il ramadan che coincide col solstizio sarà dura.
Ecco, sarebbe forte la tentazione di arruolare questi 20 alunni maghrebini nell’esercito della buona immigrazione e utilizzarli, come pallottole di mitragliatrice, nella ferocia delle contrapposizioni con cui si mantiene viva l’Italia di oggi, razzismo contro buonismo, povero contro povero, Salvini e papa Francesco.
Però io so, l’ho imparato a scuola, nello stesso giorno in cui spiegavano il gerundio, che quei 20 studenti rappresentano solo loro stessi, sono l’evidenza del loro percorso di vita individuale, perché individuali sono colpe e meriti e ciascuno di noi rappresenta se stesso e altro non è che una minuscola lettera nell'alfabeto della realtà.
Eppure, nella loro segregazione che hanno trasformato in separatezza dal contesto nazionale (un processo inconsapevole, ma di una efficacia incandescente), questi alunni che pronunciano le sillabe alla francese, che alzano la mano e aspettano il loro turno per parlare, che imparano avendo di fronte un Cuore di Gesù e una professoressa donna, un insegnamento ce lo forniscono.  Se la mafia, come diceva uno scrittore non molto lontano da questi luoghi, sarà vinta da un esercito di maestri elementari, forse l’odio alimentato da personaggi da due soldi, da posizioni che non cercano conciliazione, dall'inazione di governi, sarà vinto da un esercito di studenti elementari, anche se si chiamano , tra gli altri, Abbassi, Buduru, El Barbir, Nacir, Taouil.