Non c’è alcun appello il giovedì
pomeriggio a Marina di Acate, ma se l’insegnante lo chiamasse, suonerebbe più o
meno così. Da circa quattro mesi, una volta a settimana, il Presidio mette a
disposizione i proprio locali per una attività di alfabetizzazione alla lingua
italiana proposta da una cooperativa locale. Ogni giovedì Veronica, che insegna
italiano e parla arabo, aspetta i suoi 20 alunni maghrebini che tornano dalle
serre e si siedono sulle sedie in plastica dura, intorno a due tavoli rotondi, per
imparare la formazione del plurale, la coniugazione dei verbi, il manuale di
conversazione per il bar o per gli uffici comunali.
Sono lezioni che non mettono in
palio la diaria di un corso di formazione, né i punti sul permesso di soggiorno
e nemmeno un titolo di studio. I 20 alunni vengono perché vogliono imparare
meglio la lingua italiana, tutt’al più per avere un diversivo nel mezzo della
settimana lavorativa. Arrivano dopo il lavoro e dopo la doccia, vestiti come
per un colloquio di lavoro, si portano la mano all’altezza del petto dopo avere
stretto la tua, prendono dall’ultimo cassetto i quadernoni e infine si siedono,
in un silenzio disciplinato, ad ascoltare l’insegnante per un paio d’ore. Trascorse
le quali si attardano in capannelli per scambiare due chiacchiere, chiedere se
si possono avere notizie per i permessi di soggiorno già in scadenza e non
ancora consegnati, per dirci che quest’anno per il ramadan che coincide col
solstizio sarà dura.
Ecco, sarebbe forte la tentazione
di arruolare questi 20 alunni maghrebini nell’esercito della buona immigrazione e
utilizzarli, come pallottole di mitragliatrice, nella ferocia delle contrapposizioni con cui si
mantiene viva l’Italia di oggi, razzismo contro buonismo, povero contro povero,
Salvini e papa Francesco.
Però io so, l’ho imparato a
scuola, nello stesso giorno in cui spiegavano il gerundio, che quei 20 studenti
rappresentano solo loro stessi, sono l’evidenza del loro percorso di vita
individuale, perché individuali sono colpe e meriti e ciascuno di noi rappresenta se stesso e altro non è che una minuscola lettera nell'alfabeto della
realtà.
Eppure, nella loro segregazione
che hanno trasformato in separatezza dal contesto nazionale (un processo inconsapevole, ma di una efficacia incandescente), questi alunni
che pronunciano le sillabe alla francese, che alzano la mano e aspettano il
loro turno per parlare, che imparano avendo di fronte un Cuore di Gesù e una
professoressa donna, un insegnamento ce lo forniscono. Se la mafia, come diceva uno scrittore non
molto lontano da questi luoghi, sarà vinta da un esercito di maestri elementari,
forse l’odio alimentato da personaggi da due soldi, da posizioni che non
cercano conciliazione, dall'inazione di governi, sarà vinto da un esercito di studenti elementari, anche se si chiamano , tra gli altri, Abbassi, Buduru, El Barbir, Nacir, Taouil.
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