Oggi è l’otto maggio 2015, il sole sorge alle ore 5.53 a
Verona e cinque minuti dopo, impiegatizio, sbriga la stessa pratica a Marina di Acate. La Chiesa festeggia san Vittore il Moro martire, un santo del III
secolo D.C. proveniente dal Marocco.
Anche Suphien proviene dal Marocco e aspetta questo otto
maggio da almeno un paio di mesi.
Quando incontri Suphien, il primo gesto che ti
viene spontaneo da compiere è quello di strizzare gli occhi e inforcare un paio di
occhiali con lenti da 6 millimetri per poter dire: “Cristiano Ronaldo, che cazzo ci fai a
Marina di Acate?”
Poi, invece, ti accorgi che Suphien rimane Suphien, con i suoi 19 anni e l'aspetto di una
fotocopia di CR7, venuta scura e oblunga, con i due incisivi
superiori coniglieschi e perennemente scoperti da un sorriso spavaldo e senza una qualsiasi spettacolare
modella a fianco.
Una vena in rilievo gli attraversa il bicipite, dove sembra
solo mancare, a seguirne il corso, la scritta “tagliare qui”.
L’otto maggio è il
giorno in cui Suphien va a Verona per essere ascoltato dalla commissione per il
riconoscimento dello status di rifugiato. E avrebbe proprio bisogno che San
Vittore il Moro, per affinità cromatica, per patriottismo, per capriccio ("hai visto? fatti cristiano, fratello mio!) si
adoperi nel suo dovere miracolistico che, a quanto si sente dire in giro, trascura
da un pezzo. Suphien è arrivato diversi
mesi fa a Lampedusa ed è stato spedito a Verona come richiedente asilo, lui che
vorrebbe solo lavorare e non ha storie di persecuzioni alle spalle.
A Verona ha lasciato le sue impronte sul vetro di uno
scanner e se ne è tornato giù ai Macconi per lasciarle su quintali di
melenzane, zucchine e pomodori cuore di bue. Poiché di leggi e regolamenti non
ne sa nulla è contento di avere un permesso di soggiorno. Il fatto che non sia valido
per attività lavorative, qui, è un dettaglio da nulla. Per questo Suphien ride
sempre. Lui ha il permesso di soggiorno. Angelo, con pazienza, ha provato a
spiegargli che dovrebbe prepararsi qualcosa da dire in commissione, che altrimenti
non ha possibilità, che dovrebbe pensare a cosa fare dopo, che quelli che lo
ascolteranno (ci sarà tra loro uno che somiglia a Lionel Messi?) sono più forti
della sua storia di giovane avventuriero.
Suphien ride e non capisce e fa il segno di vittoria alzando le due dita e dice in arabo di stare tranquilli, che
lui ha il permesso di soggiorno e che vuole solo dei vestiti usati e un selfie
con noi operatori.
Poi, sempre ridendo, si intrufola nel magazzino saltando la
fila (ha un permesso di soggiorno, che diamine!), e la sua vena “tagliare qui”
si gonfia quando infila le mani tra i calzini usati e le tira fuori lasciando scorrere la biancheria tra le dita come fossero dobloni,
tappeti di Bukara le coperte acquistate da Decathlon.
Visto che non si decide e che i vestiti devono bastare per tutti, gli dico di scegliere solo un capo di vestiario e devo
prenderlo per le spalle per accompagnarlo fuori. Dopo 10 minuti è di nuovo in
magazzino con una finta delle sue, lasciandomi rassegnato come un terzino dell'Atalanta. Ne uscirà con le mani piene alla rinfusa di
camicie rosse, pantaloni blu, tute gialle che pare un facchino impegnato nell'allestimento di una mostra di quadri astratti.
Al tramonto del sole (20.32 a Verona, 19.58 ad Acate) è
probabile che Suphien abbia ricevuto un diniego dalla commissione che esamina
la sua incongrua domanda di asilo politico.
Riceverà una pacca sulle spalle e l'invito, convinto come la sua richiesta di protezione, a
lasciare il territorio nazionale. Uno dei prossimi martedì pomeriggi tornerà al Presidio per dirci che continua a lavorare in una serra. L’otto
maggio gli hanno tolto il permesso di soggiorno di cui si faceva vanto, in poche
ore. Tuttavia sorriderà. Per togliergli i venti anni ci vorrà un po’ di più.
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