Bugiardino

I contenuti di questo blog rispecchiano malamente i pensieri del proprio autore. Quel che vi compare non è necessariamente il pensiero di Caritas Italiana o della Caritas di Ragusa. A cui, comunque, sono grato.

venerdì 15 maggio 2015

Avete raggiunto la vostra destinazione

Ai turisti che arrivano all’aeroporto di Comiso sembra quasi di atterrare ai bordi di un grande scudo metallico che il mare protende verso la terra, in una lotta di elementi mastodontica e accanita per dominare la forma altrui e imporre le propria. Nessuno dei viaggiatori, naturalmente, pensa a questo. Qualcuno rimane colpito dal grigio impenetrabile di quello scudo in basso e forse, ma a stento, mentre il velivolo lo sbalestra a quote sempre più basse, si  accorgere che il sole, assecondando i movimenti dell’aereo in atterraggio, luccica sullo scudo come un indiano in Ombre Rosse, quasi ad avvisare di qualcosa. Ma è tardi, sui tabelloni a terra è già apparsa la scritta landed, tutti i turisti hanno raggiunto la loro quota naturale e corrono via al Duomo di San Giorgio, alla casa sulla spiaggia del Commissario Montalbano, a Noto e nessuno si ricorda più della paurosa distesa delle serre viste dall’alto.
Ad altezza uomo, ad andarci in mezzo col Berlingo in dotazione a Presidio, le serre non incutono meno timore. A volte si subisce come una esperienza allucinatoria e sembrerebbe di vedere animarsi legno e plastica e incombere su di noi che, purtroppo o per fortuna, non siamo dei don Chisciotte e, quindi, proviamo a restare sobri e disciplinati al nostro lavoro. 

L’impressione di compattezza, lì in mezzo, si sfalda. Le serre sono attraversate da un sistema capillare di strade provinciali e comunali percorribili con difficoltà e non segnalate. Sono zone che non si ama ricordare e, quindi, nominare. Ma un orientamento a noi è necessario, un sistema di navigazione è obbligatorio. Ha cominciato per caso Angelo, il nostro google earth tascabile, e io ed Emiliano abbiamo adottato subito questa convenzione toponomastica deliziosamente marginale. Nei nostri giri, quindi, ci rechiamo in “Via di Gianpiero” dove Gianpiero è un italiano pelle e ossa, oltre che il primo connazionale incontrato. Oppure in "Via delle gebbie", per via degli enormi contenitori di raccolta per l'acqua incredibilmente trasformati in abitazioni.
In “Via del meccanico”, invece, viveva un tunisino che riparava le moto e le biciclette di tutti. Si è trasferito dopo pochi mesi, ma ormai il nome alla via era stato assegnato. In “Via delle bambine”, abbiamo incontrato due sorelline che ci hanno fatto festa e accompagnato a casa della madre che ci ha offerto un caffè caldo e amaro come la storia che portava con sé. E poi c’era la “Via dell’uomo biondo”, dove abbiamo fermato, scambiandolo per rumeno, un italiano brutale che si è abbassato i pantaloni davanti a noi per mostrarci un reticolo di tubi di drenaggio che gli uscivano dalle mutande a causa di un'operazione al basso ventre e bestemmiava i figli rimasti in Germania, le ernie, l’Italia, gli immigrati e dio.

Ora quella via si chiama via Esperia. Lo sappiamo perché lo hanno scritto i giornali. Qui quattro tunisini ubriachi hanno ucciso un rumeno a bastonate per poter violentare la sua donna.
A volte il nostro lavoro, ai margini delle serre, non è meno duro di quello che si svolge all'interno. 

Forse pensavamo a queste cose, a Gianpiero pelle e ossa, alle bambine senza padre, al rumeno con la testa fracassata, alla durezza di appartenere a un'umanità di cui c’è poco da essere fieri, in una fine giornata di grande stanchezza, persi nella nostra toponomastica fatta in casa. L’unico ad avere voglia di vantarsi era il sole che, al solito, faceva la ruota e fuochi d'artificio sul lungomare di Macconi. E proprio quando stava per lambire il mare, ha subìto l'affronto un'altra emozione circolare: sulle stufe in plastica dove crescono primizie, sulla discarica di flaconi di anticrittogamici, su un tetto di eternit e sopra il fil di ferro per stendere il bucato, vediamo balenare un cerchio di plastica colorato che, equatoriale, tramonta sulla mano di una bambina bionda che non riusciamo a vedere in viso, mentre il Berlingo passa sui fossi coi suoi inesorabili 35 Km all'ora. Quella volta, però, in quell'istante perfetto, ci siamo commossi tutti e tre, in “Via dell’hula hoop.”

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